Appello agli umanisti

L'articolo che vi presento oggi nasce come risposta polemica alle varie considerazioni in materia di Lauree in relazione al mercato del lavoro.
E' alimentata da gran parte dell'opinione pubblica, ma peggio ancora anche dal senso comune (la quale assorbe acriticamente tutti i dati che vengono offerti loro dai media o dalle dicerie popolari), la considerazione che i titoli di Laurea siano da spartirsi in due macro-categorie: quelle utili (ovvero quelle che offrono un panorama lavorativo promettente e ricco) e quelle inutili ( considerate alla stregua di pezzetti di carta la cui unica valenza sarebbe quella di permettere a chi le consegue di fregiarsi del titolo di "dottore"). Ebbene, è inutile perdersi in molti giri di parole : economia, ingegneria e medicina da una parte; filosofia, lettere e psicologia dall'altra. E già in questo c'è del desolante. Si aggiunga a tutto ciò la spavalderia di chi afferma che "fare studi umanistici è un lusso che dovrebbe concedersi soltanto chi se lo può permettere", in spregio ai milioni di studenti che ogni mattina, ispirati da uno Hegel o da un Leopardi, frequentano lezioni fecondando le proprie menti non di nozioni numeriche finalizzate al calcolo di bilanci, ma di approcci mentali di ampio respiro. Già, perché il buon filosofo non si rinchiude nel suo studio a speculare, non più, ma sente il bisogno - consapevole della complessità del reale - di mettersi in gioco, di lavorare -  come ha sostenuto, tra gli altri, il Croce.
Come si giunge dunque al prevalere di una mentalità così ottusa, bassa, priva di spirito e di entusiasmo? Rispondere è un compito molto complesso. Compito che, comunque, non lascio ad economisti miopi e intellettualmente poco onesti.
I fattori principali da me individuati in questo ambito di discussione sono:
1) Una visione estremamente pratica del mondo del lavoro: giacché infatti facoltà come ingegneria o architettura insegnano a progettare, programmare e costruire, perché perdere il proprio tempo spendendo ore di studio leggendo astrazioni di letterati e filosofi?
2) Una scarsa selettività nei percorsi di studio umanistici: posso senz'altro confermare che i corsi di laurea in Lettere o Filosofia, forse ben più di altri, sono popolati di studenti senza alcuna reale motivazione e passione per ciò che studiano, ma solamente per sperare di raggiungere "il massimo risultato con il minimo sforzo", ovverosia di riuscire in futuro ad ottenere un posto di lavoro dignitoso senza aver speso troppe energie per raggiungerlo. Il motivo per cui avviene ciò sembra palese: è generalmente ritenuto che i suddetti corsi di laurea siano "per tutti" e che non offrano quel livello di competitività che invece è molto facile incontrare in facoltà a carattere tecnico-scientifico. E forse è vero. Ma questo non perché gli studi umanistici siano facili in sé (sfido chiunque a reputare semplici discipline come filologia classica o linguistica indo-iranica), ma perché intorno ad essi è presente un alone, alimentato sia dalle persone comune sia dagli addetti ai lavori, di assoluta "democrazia". Già, forse troppa.
Se per democrazia si intende un modello socio-politico tale che chi ha approfondite conoscenze, competenze e capacità nel proprio campo di studi venga equiparato a chi invece la laurea l'ha presa perché non aveva niente di meglio da fare, allora sono certo di poter dire che nel mondo dell'istruzione e della ricerca una tale nozione di democrazia sia da rifiutare e da disprezzare. Ciò che ho sintetizzato in questo secondo punto si ricollega quindi a:
3) la presenza, sul mercato del lavoro italiano, di un numero esagerato di "umanisti" rispetto a quanto il mercato sia in grado di offrire in termini di posti di lavoro. Se il problema dei dipartimenti di discipline umanistiche è che esse introducano nel mercato un numero eccessivo di laureati, ebbene è forse il caso che si sollevino delle soglie di sbarramento fin dall'inizio, non per svuotare le aule universitarie precludendo ad un gran numero di giovani di coltivare le proprie aspirazioni, ma piuttosto per permettere SOLO a chi sia realmente motivato verso certe discipline di proseguire nel corso di studi corrispondente.
Mi auguro dunque che il mio appello faccia riflettere chi, forse troppo condizionato da ciò che legge nei giornali, si prodiga nel demolire i sogni e le passioni di tutte quelle persone che, aspiranti insegnanti o scrittori, scienziati o avvocati, sentono di poter davvero offrire qualcosa di unico e di irripetibile alla società in cui vivono.

Commenti

Post più popolari