Lezioni di letteratura italiana - Lezione 2: La letteratura umbra, Jacopone da Todi e Francesco d'Assisi

Come abbiamo anticipato nell'ultima lezione, la tradizione letteraria italiana ai suoi albori trova espressione in due zone particolari: l'Umbria e la Sicilia. Oggi ci occuperemo della letteratura umbra, concentrandoci su Jacopone da Todi e su Francesco d'Assisi, sicuramente i più noti interpreti della lauda e della poesia drammatica di tematica religiosa.

1. I movimenti religiosi e gli ordini mendicanti
Il XIII secolo è caratterizzato dal nascere e svilupparsi di spinte nuovo ed eterogenee all'interno della Chiesa cattolica. Già i due secoli precedenti avevano offerto esempi importanti di movimenti di "dissidenza" all'interno dell'ambiente cattolico. Valdesi, catari, gioachimiti sono accomunati dalla grande sfiducia nei confronti degli sviluppi in senso gerarchizzante e temporale dell'istituzione religiosa con a capo il Papa, che li spinge o a diffondere messaggi in pieno contrasto con la pratica istituzionale abituale ( il mercante lionese Valdo, ad esempio, sostiene che il diritto di predicare deve spettare a tutti i credenti, donne comprese, e non solo agli uomini di chiesa), o di vera e proposta alternativa concreta all'organizzazione imposta dalle autorità cattoliche ( i càtari si organizzano in una struttura propria e autonoma mentre Gioacchino da Fiore propone una visione millenaristica secondo cui sarebbe imminente l'età di una Chiesa spirituale). Tutti questi esempi di dissidenza religiosa vennero ovviamente esclusi dall'ortodossia e dunque giudicati eretici.
In altri casi, però, le spinte autonomistiche interne alla Chiesa vennero incanalate nel solco dell'istituzione tradizionale e di conseguenza accettate dai pontefici, i quali anzi le resero parte attiva dell'organizzazione nel territorio. Nel 1216 papa Onorio III riconobbe l'ordine dei domenicani, ispirati dalla figura dello spagnolo Domenico di Guzmàn, e negli stessi anni grande efficacia ebbe la predicazione di Francesco d'Assisi, la quale portò alla formazione del relativo ordine ( "normalizzato" dalla Regula bullata del 1223 ratificata ancora da Onorio III).
Sebbene caratterizzati da differenti presupposti e soprattutto da distinti atteggiamenti nei confronti delle gerarchie ecclesiastiche ( più intransigente quello di Guzmàn, meno aggressivo e più accondiscendente quello di Francesco), bisogna rilevare l'abile mossa della Chiesa nella risposta alle "eresia", a seconda che questa potesse o no essere accolta nel proprio assetto istituzionale.

2. Francesco d'Assisi e la Laudes creaturarum
Protagonista storico ma anche letterario rilevante del primo '200 è senz'altro Francesco d'Assisi. Nato nel 1181, o 1182, ad Assisi, in Umbria, Francesco, figlio di Pietro Bernardone, un ricco mercante, rinuncia presto all'eredità paterna e, sulla scia degli insegnamenti evangelici, di condurre una vita all'insegna della povertà e del messaggio di Cristo.
A lui presto si unisce una folta schiera di seguaci, che vengono presto riconosciuti dai papi Innocenzo III e Onofrio III, e istituzionalizzati in un ordine mendicante.
Poco prima della morte, avvenuta il 3 ottobre 1226, Francesco compose una lauda in volgare umbro: Laudes creaturarum (Lodi delle creature), nota anche come Cantico di frate sole.
Anzitutto definiamo cosa si intende per 'lauda': essa è  «una canzone a ballo d'argomento sacro », ovvero un componimento poetico a sfondo religioso, che può declinarsi in forma lirica o dialogata.

Ecco il testo della Laudes.

« Altissimu, onnipotente, bon Signore,
tue so' le laude, la gloria e l'honore et onne benedictione.
Ad te solo, Altissimo, se konfàno
et nullu homo ène dignu te mentovare.

Laudato sie, mi' Signore, cum tucte le tue creature, 
spetialmente messor lo frate sole, 
lo qual è iorno, et allumini noi per lui. 
Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore, 
de te, Altissimo, porta significatione.

Laudato si', mi' Signore, per sora luna e le stelle, 
in celu l'ài formate clarite et pretiose et belle.

Laudato si', mi' Signore, per frate vento
et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, 
per lo quale a le tue creature dài sustentamento.

Laudato si', mi' Signore, per sor'aqua,
la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.

Laudato si', mi' Signore, per frate focu,
per lo quale ennallumini la nocte, 
et ello è bello et iocundo et robustoso et forte.

Laudato si', mi' Signore, per sora nostra matre terra,
la quale ne sustenta et governa,
et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.

Laudato si', mi' Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore,
et sostengo infirmitate et tribulatione.

Beati quelli ke 'l sosterrano in pace,
ka da te, Altissimo, sirano incoronati.

Laudato si' mi' Signore per sora nostra morte corporale, 
da la quale nullu homo vivente pò skappare: 
guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali; 
beati quelli ke trovarà ne le tue santissime voluntati, 
ka la morte secunda no 'l farrà male.

Laudate et benedicete mi' Signore' et ringratiate 
et serviateli cum grande humilitate »

Come si nota ad una prima lettura, il tono è perentorio, il ritmo spezzato, come vuole la tradizione dei Salmi biblici. Contribuiscono a tale ritmicità l'organizzazione del periodo secondo proposizioni coordinate.
Nonostante questo, il contenuto non si limita ad un'affermazione della potenza divina, che si manifesta in ogni aspetto della natura, animato e inanimato ( laddove la preposizione per come in per frate focu ha la funzione di complemento di mezzo, ovvero indica, in questo caso, che il Signore si manifesta anche attraverso il fuoco); ma viene centralizzata la figura dell'uomo che di questa grande familia divina fa parte e della quale deve rendersi partecipe per non incorrere ne le peccata mortali. Questa è forse una grande innovazione da parte di Francesco: l'aver esteso la religiosità oltre la liturgia dogmatica, aver stabilito un contatto spirituale, ma anche concreto, con ciò che lo circonda. Come da tradizione giudaico-cristiana, la dimensione della sofferenza non è assente, ma anzi viene riaffermata; tuttavia essa è fonte di beatitudine e dunque il vero devoto la sosterrà in pace. 
E' stato più volte cercato di evidenziare l'attualità della lauda francescana. In particolar modo, è stata da me criticata in un precedente post ( a cui rimando:   ) la riattualizzazione in senso ecologista.

3. Jacopone da Todi e la lauda drammatica
Nel solco dell'insegnamento francescano, ma in una situazione storica radicalmente diversa, si esprime la vicenda biografica e letteraria di Jacopone. Nato a Todi, in Umbria, attorno al 1236, nella prima parte della sua vita esercita la professione di notaio. La sua esistenza presumibilmente tranquilla subisce una brusca interruzione nel 1268, quando, morta la moglie e ritrovato un cilicio sul corpo di lei, decide di convertirsi. Nel 1278 entra nell'ordine francescano come frate laico, abbracciando in particolare il radicalismo degli spirituali. Schieratosi contro papa Bonifacio VIII, che rappresentava le realtà più conservatrici e compromesse del potere ecclesiastico, Jacopone si unisce ai cardinali Colonna e firma (1297) il manifesto che dichiarava nulla l'elezione di Bonifacio. Egli viene quindi subito travolto dalla reazione papale, subendo la scomunica e l'arresto. Riottenne la libertà e la revoca della scomunica nel 1303 per intervento del successore di BonifacioVIII, Benedetto XI.
Accanto ad alcune composizioni in lingua latina, di Jacopone spiccano soprattutto le laudi. In esse però non si intravede l'atteggiamento 'ottimistico' tipicamente francescano, ma al contrario l'onnipotenza del divino è contrapposta alla nullità dell'uomo. Questo, indegno di presentarsi di fronte a Dio nelle proprie vesti terrene, si piega e invoca su di sé la sofferenza e la distruzione ( vedi, in particolare, O signor per cortesia), nel tentativo, peraltro non sufficiente, di redimersi perché parte di quell'umanità che ha crocifisso Cristo.
A Jacopone si attribuisce peraltro l'introduzione della lauda drammatica, o quantomeno della sua antesignana. Per lauda drammatica si intende un componimento in cui viene messo in scena un evento (tratto da episodi biblici), presentato attraverso un dialogo tra i protagonisti.

Di seguito la lauda O Signor, per cortesia:

« O Segnor, per cortesia,
manname la malsania,

A me la freve quartana,
la contina e la terzana,
la doppia cotidïana
co la granne etropesia.

A me venga mal de denti,
mal de capo e mal de ventre,
a lo stomaco dolor pognenti,
e ’n canna la squinanzia.

Mal degli occhi e doglia de fianco
e l’apostema dal canto manco;
tiseco ma ionga en alco
e d’onne tempo la fernosia.

Aia ’l fecato rescaldato,
la milza grossa, el ventre enfiato,
lo polmone sia piagato
con gran tossa e parlasia.

A me vegna le fistelle
con migliaia de carvoncigli,
e li granchi siano quilli
che tutto repien ne sia.

A me vegna la podagra,
mal de ciglio sì m’agrava;
la disenteria sia piaga
e le morroite a me se dia.

A me venga el mal de l’asmo,
iongasece quel del pasmo,
como al can me venga el rasmo
ed en bocca la grancìa.

A me lo morbo caduco
de cadere en acqua e ’n fuoco,
e ià mai non trovi luoco
che io affritto non ce sia.

A me venga cechetate,
mutezza e sordetate,
la miseria e povertate,
e d’onne tempo en trapparia.

Tanto sia el fetor fetente,
che non sia null’om vivente
che non fugga da me dolente,
posto ’n tanta ipocondria.

En terrebele fossato,
ca Riguerci è nomenato,
loco sia abandonato
da onne bona compagnia.

Gelo, granden, tempestate,
fulgur, troni, oscuritate,
e non sia nulla avversitate
che me non aia en sua bailia.

La demonia enfernali
sì me sian dati a ministrali,
che m’essercitin li mali
c’aio guadagnati a mia follia.

Enfin del mondo a la finita
sì me duri questa vita,
e poi, a la scivirita,
dura morte me se dia.

Aleggome en sepoltura
un ventre de lupo en voratura,
e l’arliquie en cacatura
en espineta e rogaria.

Li miracul’ po’ la morte:
chi ce viene aia le scorte
e le vessazione forte
con terrebel fantasia.

Onn’om che m’ode mentovare
sì se deia stupefare
e co la croce signare,
che rio scuntro no i sia en via.

Signor mio, non è vendetta
tutta la pena c’ho ditta:
ché me creasti en tua diletta
e io t’ho morto a villania.»


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