Il terrorismo anarchico

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Anche l'anarchismo. ha avuto, nella sua storia, protagonisti violenti: attentatori, sicari o veri e propri terroristi. In questa sede farò una carrellata dei principali attentati compiuti da anarchici o in nome dell'anarchia e tenterò di dimostrare come, se da un lato è impossibile negare una certa relazione tra questi atti e l'ideologia anarchica, dall'altro ciò non giustifica la visione dell'anarchia come di un'ideale realizzabile esclusivamente attraverso la violenza e il disordine.


Tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento il mondo venne attraversato da una serie di episodi critici e violenti: ciò è vero tanto per le crisi internazionali che si succedettero e che poi culminarono nel primo conflitto mondiale, quanto per fatti di politica interna che gettarono nel panico e nello sconforto diversi paesi. In questo secondo aspetto, mi riferisco agli attentati che fecero perire diversi regnanti e primi ministri europei e non solo. In ordine, perirono vittime di attentati: Sadi Carnot (1894), Presidente della Repubblica francese; Canovas del Castillo (1897), Presidente del Consiglio spagnolo; Elisabetta Imperatrice d'Austria (1898); Umberto I re d'Italia (1900); William McKinley, Presidente degli Stati Uniti d'America.
Tutti queste cospirazioni hanno in comune di essere state orchestrate e messe in atto da anarchici. Vedendo questa impressionante successione di assassinii in un periodo temporale ristretto, ci facciamo giustamente qualche domanda. Perché gli anarchici si scatenarono tutti in così pochi anni, e perché proprio in quelli? Per rispondere a questa domanda, possiamo fare due considerazioni: una di ordine ideologico, una di ordine pragmatico.
E' bene innanzitutto contestualizzare questo picco di violenza anarchico nel quadro della storia del pensiero libertario. Dopo essere stati espulsi dalla Prima Internazionale, gli anarchici, tra i quali si è affermata come figura di leader principale Bakunin, decidono di organizzarsi autonomamente e danno vita ad una serie di congressi in cui stabiliscono le linee principali su cui impostare l'azione anarchica. In particolare, i congressi di Londra (1881) e di Ginevra (1882) sancirono l'adozione dell'illegalismo come tattica per la lotta contro lo Stato, e si affermò il principio, teorizzato da Malatesta e Cafiero, della « propaganda attraverso i fatti ». Ciò significava incitare le organizzazioni di ispirazione anarchica, che erano riuscite ad avere un certo successo presso gli operai europei (soprattutto francesi e italiani), a mettere in pratica anche forme "estreme" di attacco alle istituzioni. Da qui si può ben capire come gli anarchici si sentissero in un certo senso "legittimati" ideologicamente a mettere in pratica dimostrazioni di violenza contro lo Stato piuttosto clamorose (quale gesto più plateale per mostrare la propria ostilità verso lo Stato se non ucciderne il regnante?). Ciò non toglie che vadano considerate anche le altre motivazioni che ispirarono i singoli attentati, come ad esempio la vendetta: fu così in Francia e in Italia, dove gli attentati dovevano vendicare le precedenti violenze e persecuzioni perpetrare ai danni degli anarchici e della classe operaia. Inoltre, è comprensibile che l'escalation di atti terroristi si sia un certo qual senso "alimentata da sé", ovvero che i primi attentati abbiano ispirato i successivi ( l'attentatore del Presidente americano McKinley venne influenzato dall'assassinio di Umberto I in Italia).
E' difficile stabilire a quale "movente" si debba maggiormente la serie di atti terroristici che abbiamo presentato. Certo è però che, alla fine di questo ciclo di violenza, l'anarchismo avrebbe assunto, agli occhi dell'opinione pubblica e del senso comune, i tratti di un'ideologia eversiva terroristica. Questa visione non è del tutto scomparsa ai giorni nostri. 
In quanto anarchico, non intendo negare che questi episodi facciano parte della storia della corrente anarchica, ma riconsiderarne la centralità e l'attualità. Anzitutto, penso sia molto arduo sostenere che questi attentati avessero un reale obiettivo politico: nonostante tutti gli attentatori fossero convinti di compiere un atto giusto e manifestamente volto a dimostrare il loro odio verso lo Stato, essi agirono fattivamente per vendetta e non per compiere una rivoluzione, essendo pienamente consci che, una volta compiuto l'attentato, non avrebbero avuto vie di scampo. E' dunque evidente che l'assassinio di un leader politico non possa rappresentare una risorsa per un anarchico in vista di una rivoluzione. In secondo luogo, gli anarchici di oggi dispongono di efficaci modi per diffondere le proprie idee, anche attraverso azioni concrete di protesta, che non passano attraverso l'assassinio. Oggi esistono associazioni e reti di organizzazioni che possono agire con una certa libertà, al contrario di quanto avveniva in Europa alla fine dell'Ottocento (dove molto spesso vennero varate leggi ad hoc contro anarchici e socialisti). In sostanza penso che oggi un anarchico non abbia bisogno di compiere gesti così plateali per dimostrare di avere fiducia nel progetto di un' « umanità liberata ».

Fonti
Enciclopedia UTET alla voce Anarchia
Attentati anatchici dell'Ottocento, Sergio Feldbauer

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