Sul (dialetto) romanesco

Nel panorama culturale italiano (si intenda con questa espressione non meramente l'ambito letterario ma l'insieme delle manifestazioni intellettuali che costituiscono la vita culturale di una società) il romanesco riveste un ruolo del tutto particolare, del tutto distinto dalla maggior parte degli altri dialetti d'Italia.

Il romanesco è un dialetto?
Non è questione semplice la classificazione del romanesco all'interno del panorama linguistico della Penisola. Il romanesco di oggi si è sviluppato a partire dal XVI secolo, ed è la risultante della confluenza tra la parlata romanesca originaria (che era di tipo mediano, con caratteristiche che lo accomunavano maggiormente ai dialetti dell'Italia centrale e meridionale rispetto a oggi) e un imponente influsso fiorentino, che ha finito per rivestire un ruolo maggioritario nel formare la parlata moderna della capitale.
La presenza di questo 'crocevia storico-linguistico' all'interno dello sviluppo diacronico romanesco pone all'attenzione dei linguisti due problematiche: a)la classificazione linguistica del romanesco: si tratta di un dialetto vero e proprio o di una variante particolare dell'italiano standard? ; b) la classificazione del (presunto) dialetto romanesco: si tratta di un dialetto mediano o di un dialetto toscano-fiorentino?


Sul primo punto non sembra ci sia accordo tra i linguisti. Molti fanno notare come la parlata romanesca sia ben comprensibile a tutti i parlanti italiano e come essa non abbia i requisiti, morfologici e lessicali, per essere considerato un dialetto come gli altri. In effetti è proprio in virtù della sua 'chiarezza' e 'sinteticità' che il romanesco figura in molte produzioni artistiche, cinematografiche o letterarie. Bisogna tuttavia far notare come anche il romanesco abbia proprie peculiarità grammaticali.
Di seguito il parere del grande linguista Tullio De Mauro:



Sul secondo punto, quasi tutti sono concordi nel ritenere il romanesco un dialetto di tipo toscano. Personalmente però, non trovo sia opportuno dividere così nettamente il dialetto di Roma dagli altri dialetti dell'Italia centrale, con alcuni dei quali condivide un numero non trascurabile di caratteristiche, tra cui alcuni fenomeni di assimilazione progressiva ( -nd->-nn- in lat. volg. *QUANDO > rom. quanno; -ld- > -ll-,  lat. volg. *CAL(I)DU(M) > rom. callo), la metatesi di -ng- in -gn- (piagne = piangere, magnà = mangiare), e una particolare costruzione grammaticale che esprime azioni che in italiano richiederebbero l'uso del gerundio; tale costruzione è del tipo 'verbo STARE + preposizione A + verbo all'infinito' (che stai à fa'? 'che stai facendo?', i regazzini stanno a giocà 'i ragazzini stanno giocando').

La fortuna del romanesco
Come già detto, la parlata di Roma è ben nota in tutta Italia. Essa riscuote molto successo soprattutto nell'ambito del cinema, comico ma non solo, e della televisione. Non è difficile capire le ragioni di questo successo. Anzitutto, il romanesco è ben comprensibile anche a chi non lo parla: in virtù di questa sua caratteristica può raggiungere un pubblico significativamente più alto rispetto ad altri dialetti 'più stretti' e meno noti. In secondo luogo, è dotato di una vena particolare, che lo rende particolarmente apprezzabile, soprattutto in quanto può agire, antifrasticamente, da contraltare rispetto alla parlata italiana standard. E così, nonostante la sua ineleganza e bassezza rispetto alla lingua standard, la parlata romanesca riesce a suscitare la simpatia del pubblico, in quanto esso sa che il parlante romano, nella sua scarsa raffinatezza, esprime autenticamente i propri stati d'animo. Ciò è evidente soprattutto nell'ambito della comicità.

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