L'educazione universitaria (B. Russell)


Cari lettori,
Vi invito oggi alla lettura (in traduzione) di una riflessione del filosofo e logico britannico Bertrand Russell sull'educazione universitaria, risalente al 1959 e pubblicata due anni dopo.
Si tratta di uno scritto interessante e illuminante, pieno di considerazioni che dovrebbero essere considerate valide ancora oggi, quantunque non siano certo da considerarsi scontate.

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« L’educazione è un oggetto vasto e complesso che coinvolge problemi molto difficili da risolvere. In ciò che segue, farò una proposta per la risoluzione di uno solo di questi problemi, ovvero l’adattamento dell’educazione universitaria alle condizioni moderne.

L’università è un’istituzione di vecchia data. Si è sviluppata durante i secoli dodicesimo e tredicesimo a partire dalle scuole cattedrali dove i teologi apprendevano l’arte della dialettica. Ma, in realtà, gli obiettivi che ispirarono le università risalgono a tempi ancora più antichi. Si potrebbe dire che l’Accademia di Platone fu la prima università. L’Accademia aveva obiettivi specifici. Puntava a formare il genere di persone che sarebbero state atte a ricoprire il ruolo di Guardiani nella Repubblica ideale di Platone. L’educazione che Platone prevedeva non è quella che al giorno d’oggi verrebbe definita “classica”. Un’educazione “classica” consiste principalmente nell’apprendimento del greco e del latino. Ma i greci non avevano bisogno d’apprendere il greco e d’altra parte non avevano motivo di apprendere il latino. Ciò che Platone auspicava la sua Accademia insegnasse era, primariamente, la matematica e l’astronomia, e, in secondo luogo, la filosofia. La filosofia doveva avere un’ispirazione scientifica con qualche influsso di misticismo orfico. Qualcosa di questo genere, in forme chiaramente modificate, ha persistito in Occidente fino alla fine dell’Impero romano. Dopo qualche secolo, questa concezione venne ripresa dagli arabi e da loro, principalmente attraverso gli ebrei, trasmesso di nuovo all’Occidente. In Occidente mantenne ancora molto dell’impostazione politica di Platone, giacché mirava a formare un’élite educata per avere il monopolio completo del potere politico. Da quel tempo, tuttavia, l’obiettivo è andato pian piano modificandosi a causa dell’introduzione di due elementi: la democrazia e la scienza. L’intrusione della democrazia nella teoria e nella pratica accademiche è molto più profonda di quella della scienza e molto più difficile da coniugare con qualcosa come gli obiettivi dell’Accademia platonica.

L’educazione universale, che ora è data per acquisita in tutti i paesi civilizzati, fu violentemente osteggiata, da ambienti quasi esclusivamente aristocratici, finché non ci si rese conto che la democrazia politica era divenuta inevitabile. C’era sempre stata fin dai tempi antichi una grande separazione tra i colti e gli incolti. I colti dovevano seguire un percorso duro e apprendere molto, mentre gli incolti erano incapaci anche di leggere e scrivere. I colti, che avevano il monopolio del potere politico, temevano l’estensione dell’educazione scolastica alle “classi inferiori”. Il presidente della Royal Society nel 1807 pensava che fosse disastroso se i lavoratori potessero leggere, in quanto temeva che essi avrebbero passato il loro tempo a leggere Tom Paine. Quando mio padre istituì una scuola elementare nella sua parrocchia, i suoi vicini perbenisti ne furono indignati, dicendo che egli aveva distrutto l’antico spirito aristocratico del quartiere. Fu la democrazia politica, almeno in Inghilterra, che porto un cambiamento di opinione in questo ambito. Disraeli, dopo aver assicurato il voto ai lavoratori urbani, spinse per estendere l’educazione obbligatoria, con lo slogan “Dobbiamo educare i nostri lavoratori”. Sembrò che l’educazione fosse divenuto il diritto per tutti coloro che la desideravano. Ma non era facile capire come questo diritto dovesse essere esteso all’educazione universitaria; né, nel caso ci si fosse riusciti, come le università potessero continuare a svolgere le loro antiche funzioni.

Le ragioni che hanno indotto le nazioni civilizzate ad adottare un sistema educativo universale sono molteplici. C’erano i fautori di una visione illuministica che non vedevano limiti nel benessere che poteva scaturire dal l’educazione. Molti di costoro ebbero molta influenza nei primi sforzi per istituire un sistema di istruzione obbligatorio. Poi c’erano persone più pratiche che si erano rese conto che lo stato moderno e i moderni processi di produzione e distribuzione non potevano essere gestiti efficacemente se una larga fetta della popolazione era analfabeta. Una terza posizione era rappresentata da coloro che consideravano l’educazione un diritto fondamentale in democrazia. C’era poi un quarto gruppo, più silenzioso e meno aperto, che vedeva nell’educazione la possibilità di benefici per la propaganda politica. L’importanza dell’educazione a questo proposito è grande. Nel diciottesimo secolo, il più delle guerre era malvisto dal popolo; ma, da quando gli uomini furono in grado di leggere i giornali, quasi tutte le guerre sono state sostenute dal popolo. Questo è solo un esempio del potere acquisito sull’opinione pubblica da parte delle autorità grazie all’educazione.

Sebbene le università non furono direttamente coinvolte in questi processi educativi, esse furono profondamente influenzate da essi in quanto essi sono, generalmente, inevitabili, ma molto malvisti da coloro che vogliono mantenere il vecchio sistema.

È difficile parlare in difesa del vecchio sistema senza usare un linguaggio che abbia una forma obsoleta. C’è una distinzione, che già ha ricevuto una condivisione generale, tra l’abilità e la saggezza. Un contorsionista, mi è stato spiegato, deve iniziare ad allenarsi fin dalla più tenera età, e, se sviluppa date capacità, possiede un’abilità molto rara e difficile ad ottenersi. Ma questa abilità non viene percepita come socialmente utile e, dunque, non viene insegnata nelle scuole o nelle università. Molte abilità, anzi un numero crescente di abilità, sono elementi vitali per la ricchezza e la potenza di una nazione. La maggior parte di queste abilità sono nuove e non prevedono il rispetto delle antiche tradizioni. Una di queste antiche tradizioni potrebbe essere saper usare la saggezza, ma molti sicuramente non lo fanno. Ma cosa si intende, chiederete, per “saggezza”? Non sono in grado di dare una definizione netta. Ma farò del mio meglio per spiegare che cosa penso che questo termine possa significare. È un termine in parte connesso con la conoscenza e in parte con le sensazioni. Dovrebbe indicare una certa intima unione di conoscenza e preoccupazione per il destino umano e lo scopo della vita. Richiede una certa ampiezza di vedute, che è difficilmente raggiungibile senza un elevato grado di conoscenza. Ma richiede anche un’ampiezza di sensazioni, un qualche tipo di empatia universale. Penso che l’educazione avanzata dovrebbe fare tutto per promuovere non solo la conoscenza, ma anche la saggezza. Non penso che questo sia facile; e non penso che questo obiettivo debba essere troppo consapevole, poiché, se lo diventasse, diventerebbe stereotipato e moralistico. Dovrebbe essere qualcosa di presente quasi inconsapevolmente nell’insegnante e trasmesso quasi inintenzionalmente al discente. Concordo con Platone nel sostenere che questa è la più grande cosa che l’educazione possa ottenere. Sfortunatamente, è una delle cose più minacciate dall’intrusione delle parole d’ordine della più cruda democrazia nelle nostre università.

Il fanatico della democrazia è solito ripetere che tutti gli uomini sono uguali. C’è un contesto in cui ciò è vero, ma non è il contesto in cui è coinvolto l’educatore. Ciò che può davvero significare la frase “Tutti gli uomini sono uguali” è che per certi riguardi essi hanno eguali diritti e dovrebbero condividere egualmente una certa fetta del potere politico. L’assassinio è un crimine qualunque sia la vittima, e ognuno dovrebbe esserne protetto dalla legge e dalle autorità. Ogni insieme di uomini o donne che non condivide una parte del potere politico quasi certamente soffre di ingiustizie e di una sorte indifendibile. Tutti gli uomini dovrebbero essere uguali di fronte alla legge. Sono questi i principi che costituiscono un’autentica democrazia. Ma ciò non deve spingerci a non riconoscere diversi gradi di abilità o di merito in individui differenti. Ogni insegnante sa che alcuni studenti apprendono velocemente e altri lentamente. Ogni insegnante sa che alcuni ragazzi e ragazze sono più impazienti di apprendere, mentre altri devono essere spinti quel minimo che è concesso all’autorità. In un gruppo di giovani che fanno parte della stessa classe, a prescindere dalla loro maggiore o minore abilità, il ritmo è sempre troppo veloce per lo studente pigro e troppo lento per lo studente diligente. L’ammontare di nozioni di cui un giovane necessita dipende per una gran parte dalla sua abilità e dalle sue inclinazioni. Un bambino inoperoso presterà attenzione solo a ciò che deve essere appreso mentre l’insegnante è lì che spiega l’argomento della lezione. Un giovane sveglio, al contrario, ha bisogno di opportunità e di continui stimoli quando trova qualche difficoltà momentaneamente insuperabile. La pratica di insegnare ai pigri e agli svegli insieme è estremamente triste, soprattutto per i più dotati. Una noia infinita avvolge questi straordinari giovani quando le nozioni che essi hanno appreso da tempo vengono spiegate a coloro che sono rimasti indietro. Questa ingiustizia è tanto più grande quanto maggiore è l’età dello studente. Nel momento in cui un giovane brillante è all’università, ciò di cui egli ha bisogno è una guida occasionale – non ordini – su cosa leggere e un istruttore che abbia tempo ed empatia per prestare attenzione alle sue difficoltà. Il tipo di educatore che ho in mente dovrebbe essere competente nella disciplina in cui lo studente si sta specializzando, ma dovrebbe essere abbastanza giovane da ricordare le difficoltà che sono solite ostacolare il discente, e non dovrebbe essere così rigido da non saper discutere senza dogmatismo. La discussione è una parte davvero essenziale nell’educazione dei migliori studenti e richiede un’assenza di autorità se tale educazione vuole essere libera e fruttuosa. Sto pensando non solo alla discussione con gli insegnanti ma anche tra gli studenti stessi. Dovrebbe essere concesso del tempo libero per queste discussioni. E, infatti, il tempo libero durante gli anni dell’educazione è della più grande importanza. Quando ero uno studente universitario feci il voto che, quando fossi diventato professore, non avrei pensato alle lezioni come a un metodo d’istruzione, ma solo come a uno stimolo occasionale. Per quanto riguarda gli studenti più abili, ho ancora questa visione. Le lezioni come mezzi di istruzione sono tipiche nelle università e furono senza dubbio utili prima dell’invenzione della stampa, ma da allora sono diventate fuori luogo per gli studenti più capaci.

È un errore, ne sono profondamente convinto, sostenere, in un contesto democratico, la separazione dei più abili dai meno abili nell’insegnamento. Nelle questioni che interessano il pubblico nessuno sogna una simile applicazione dei principi democratici. Chiunque è disposto ad ammettere che alcuni atleti sono migliori di altri e che i divi del cinema meritino più considerazione dei comuni mortali. Questo è perché essi hanno un tipo di abilità che è molto ammirato anche da coloro che non lo posseggono. Ma l’abilità intellettuale, così lungi dall’essere ammirata da stupidi ragazzini, è attivamente e ferocemente disprezzata; e anche tra i più cresciuti, il termine “testa d’uovo” non è considerato rispettoso. È stata una delle maggiori umiliazioni del nostro tempo per le autorità militari che l’uomo che oggi porta avanti la guerra con un certo successo non sia più un gentiluomo con l’aspetto di un comandante, che siede su un cavallo rampante, ma un infelice scienziato che ogni ragazzo dalla mentalità militare avrebbe maltrattato durante la giovinezza. Comunque, non è per una speciale abilità nel compiere massacri che vorrei vedere la “testa d’uovo” rispettata.

I bisogni del mondo moderno hanno portato ad un conflitto, che penso possa essere evitato, tra le discipline scientifiche e quelle che vengono chiamate “umanistiche”. Le seconde rappresentano la tradizione e hanno ancora, nel mio paese, una certa preminenza snobista. L’ignoranza umanistica, anche occasionale, è detestata. Quella scientifica, anche se totale, non lo è. Personalmente, non penso che la divisione tra educazione umanistica e scientifica debba essere così netta come sta diventando negli ultimi tempi. Penso che ogni studente che studia scienze debba avere qualche conoscenza di storia e di letteratura, e che ogni studente di discipline umanistiche dovrebbe avere dimestichezza con alcuni concetti fondamentali della scienza. Qualcuno dirà che non c’è tempo, durante l’educazione universitaria, per raggiungere questo obiettivo. Ma penso che questa opinione derivi in parte dalla mancanza di volontà di adattare l’insegnamento a coloro che non si specializzeranno nella disciplina in questione. Più specificamente, sebbene l’educazione umanistica sia offerta a studenti di materie scientifiche, non penso questa debba comprendere il latino o il greco. E penso che qualunque tipo di conoscenza scientifica venga impartita a coloro che non si specializzeranno in alcuna disciplina scientifica debba comprendere in parte la storia della scienza e in parte alcuni concetti fondamentali del metodo scientifico. Penso che sia una buona idea quella di ospitare, di tanto in tanto, lezioni di uomini eminenti destinate all’intero corpo studentesco e non solo a coloro che si specializzano nella disciplina coinvolta.

Ci sono delle cose che penso dovrebbero essere considerate la norma per tutti coloro che operano nell’insegnamento universitario, sebbene al momento non sia così. Uomini o donne del settore devono, di certo, essere competenti in campi specifici. Ma, in aggiunta a questo, vi è una cultura generale che è loro dovere mostrare a coloro ai quali insegnano. Dovrebbero esporre il valore dell’intelletto e della ricerca scientifica. Dovrebbero render chiaro che ciò che per molto tempo è stato considerato conoscenza fondata potrebbe, in realtà, rivelarsi erroneo. Dovrebbero infondere un temperamento antidogmatico, volto alla continua ricerca e non alla certezza confortevole. Dovrebbero cercare di far maturare consapevolezza del mondo tutto, e non solo di ciò che è vicino nello spazio e nel tempo. Riconoscendo la probabilità dell’errore, dovrebbero render chiara l’importanza della tolleranza. Dovrebbero ricordare agli studenti che coloro che sono onorati nella posterità furono molto spesso misconosciuti durante la loro vita e che, su questo piano, il coraggio sociale è una virtù estremamente importante. Infine, ogni educatore che tenti di ottenere il meglio dagli studenti ai quali si rivolge deve considerare sé stesso un servo della verità e non di questo o di quell’interesse politico o settario. La verità è una dea splendente. Sempre velata, sempre distante, mai ottenibile interamente, ma meritevole di tutta la devozione di cui lo spirito umano è capace. »






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