La miseria del femminismo

La condizione della donna nella società moderna e le problematiche a essa correlate sono uno dei temi più attuali e dibattuti. Non sempre nella giusta prospettiva e soprattutto non sempre a ragion veduta. In questo breve intervento vorrei sottolineare alcune caratteristiche di certo femminismo che oggi sembra molto popolare, ma sulla cui efficacia in termini concreti dubito, per le ragioni che esporrò.
Anzitutto dovremmo inquadrare il significato del termine 'femminismo' e la storia del movimento femminista. Per femminismo dovrebbe intendersi, in generale, un movimento politico e sociale volto a combattere le situazioni di disuguaglianza di genere in vari settori come quello lavorativo, politico, educativo, culturale. Il suo obiettivo principale è quello di abbattere, laddove presenti, le ingiustizie prodotte da un'ideologia che subordina la donna e le sue aspirazioni al volere dell'uomo. Si tratta fondamentalmente di un ramo sviluppatosi a partire dal pensiero democratico, più specificamente incentrato sulle battaglie per la parità di genere. Si è realizzato concretamente a partire dalla seconda meta dell'Ottocento, e nel corso dei decenni si è prefissato obiettivi sempre più significativi: diritto di voto, accesso integrale al mondo dell'istruzione e dell'università, indipendenza economica e culturale. Questo è fondamentalmente il ritratto del femminismo prima della seconda metà degli anni '50. A partire da quel periodo, in effetti, il movimento femminista acquisisce una nuova fisionomia, che la rende più simile ad ideologie forti e estremiste piuttosto che a un insieme di principi compatibili con il pensiero liberale e democratico classici. Il raggio delle battaglie femministe comprende alcuni dibattiti fondamentali come quello sulla libertà di azione sociale, politica e culturale, ma si allarga ad alcuni temi ed approcci che rendono il femminismo bersaglio di critiche, anche accese, non solo da parte degli esponenti della cultura maschile.
Oggi si ha spesso l'impressione, in effetti, che una parte non piccola del mondo femminile voglia attuare una sorta di rivoluzione, non definita esplicitamente, che punti a stabilire il predominio delle donne in quelle istituzioni che vengono ancora percepite come espressione del genere maschile. Non solo dunque libera partecipazione alla vita politica, ma aspra lotta per l'ottenimento, a tutti i costi, di ruoli di potere nella politica istituzionale; non solo libero ingresso nella scuola e nelle università, ma rilettura integrale della storia della cultura dal punto di vista femminile; infine, ripudio integrale dell'immagine tradizionale della donna e delle sue prerogative.
Ad una prima analisi, queste nuove istanze potrebbero sembrare l'effetto di una prevedibile e anche ragionevole evoluzione interna al movimento femminista. Tuttavia l'approccio di molte femministe sembra smentire questa conclusione. Ciò che oggi spesso leggiamo e ascoltiamo è la voce vigorosa di donne che sembrano voler scavalcare in modo distruttivo tutto ciò che la cultura ha prodotto sinora, secondo l'identificazione, assolutamente arbitraria e ingiustificata, di tutta la cultura occidentale moderna con la cultura maschile. La storia del pensiero scientifico, filosofico e letterario sarebbe tutta da riscrivere, giacché rende conto, per la maggior parte, delle opere e delle esperienze di uomini. E ciò sarebbe dovuto alla volontà maschile di ogni epoca, di privare le donne di qualsiasi rilievo culturale e dunque di cancellarle dalla storia. Addirittura, e questo me lo sono sentito dire di persona, gli uomini non potrebbero in alcun modo comprendere gli sforzi intellettuali delle donne, non per un qualche tipo di chiusura mentale, ma semplicemente perché uomini, impossibilitati, quindi, dal loro codice genetico.
Il problema di questa visione è che fa percepire il movimento femminista, e non solamente da parte della comunità maschile, più come un movimento per la lotta di classe (o meglio, di genere) che non per un'integrale democratizzazione delle istituzioni. Più come un approccio violento, prevaricatorio e ad ideologia razzista (se la superiorità di genere può essere considerata una forma di razzismo) che una genuina lotta per la parità di genere.
Le situazioni di disparità tra uomini e donne oggi esistono, sono molto diffuse e molto significative in certe parti del mondo. Ma un approccio che fa leva solamente sulla rabbia femminile nei confronti di tutto ciò che è presumibilmente visto come simbolo del dominio maschile non potrà portare a cambiamenti davvero progressivi. Infatti, se il movimento femminista rivoluzionario riuscisse a perseguire questi obiettivi fino in fondo, si giungerebbe ad una situazione diametralmente opposta a quella attuale, ma non certo migliore. La società attuale, maschile, diverrebbe una società femminile, guidata e controllata quasi esclusivamente dalle donne. Si sostituirebbe, insomma, una forma di ingiustizia ad un'altra.
D'altra parte, se invece il movimento femminista per come l'ho descritto volesse raggiungere dei risultati legati all'egalitarismo e alla giustizia sociale, una forza guidata esclusivamente da donne (arrabbiate) della classe medio-alta non potrà mai riuscire ad ottenere alcunché. Purtroppo i maggiori esponenti della politica, dell'economia e della cultura sono ancora nella maggior parte dei casi uomini, che suppongo essere poco inclini a cedere il loro posto a quelle stesse donne da cui sono odiati e che li accusano di essere geneticamente incapaci di comprendere e sostenere le loro istanze.
La possibilità migliore per le donne di ottenere ciò che vogliono penso piuttosto possa basarsi su una identificazione con i movimenti di lotta per la giustizia sociale e per la diffusione della democrazia e su una genuina collaborazione con quella parte degli esponenti maschili della cultura, della politica e dell'economia che appoggiano saldamente i principi di parità tra generi.

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