Teoria dell'evoluzione e linguaggio

INTRODUZIONE
La Teoria dell'evoluzione di Charles Darwin ha avuto un impatto impressionante sulla concezione dell'uomo e dei suoi rapporti con le altre specie. Anche se qui non si parlerà dettagliatamente di come questa teoria venne formulata da Darwin e sulla base di quali presupposti, basterà dire che l'opera di Darwin contiene alcune implicazioni che hanno come conseguenza una riformulazione della natura dell'essere umano e del suo habitat. Ricordiamo infatti che, in base a quanto affermato da Darwin:

a) Le specie si evolvono nel corso del tempo. Non sono comparse tutte nello stesso momento. Alcune sono comparse agli inizi della storia della vita sul pianeta Terra. Altre più tardi. Ad ogni modo, ogni specie può comparire ed estinguersi o perpetuarsi ed adattarsi alle variazioni ambientali. In questo frangente è fondamentale il concetto di adattabilità. Ciò che garantisce, cioè, la sopravvivenza di un esemplare animale e della sua (eventuale) progenie è la sua capacità o abilità di adattarsi alle variazioni che l'ambiente, di volta in volta, introduce o produce.

b) L'uomo è una specie animale come le altre, e in quanto tale è soggetta ai processi di evoluzione e di interazione più o meno vantaggiosa con l'ambiente che lo circonda.

Tali implicazioni ebbero negli anni '60 dell'Ottocento, quando cioè vennero rese pubbliche per la prima volta da Darwin, un'eco impressionante e furono oggetto di pesanti, anche se non altrettanto ragionate, critiche.

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LINGUAGGIO: PERCHÉ' SOLO NOI?
Il linguaggio è una delle proprietà più peculiari e distintive dell'essere umano. Oltre al fatto che è uno strumento in grado di raggiungere livelli di astrattezza e simbolicità che non ha eguali nel mondo animale, esso è anche strutturalmente diverso dagli altri linguaggi animali (ma io preferisco riferirmi a questi piuttosto come a codici comunicativi, in quanto considero il linguaggio tout-court una proprietà esclusivamente umana). Il modo in cui viene astrattamente organizzato e prodotto (acusticamente e articolatoriamente) non è neanche lontanamente paragonabile neanche ai codici comunicativi di specie vicine all'uomo, come gli scimpanzè.
Descriviamo dapprima i presupposti anatomici e fisiologici del linguaggio umano. L'evoluzione della specie Homo Sapiens  ha fatto sì che il tratto laringo-faringeo formasse un'angolo retto col tratto orale. Questo, in concomitanza con lo sviluppo delle pliche (o corde) vocali, permette all'uomo generare dei foni (ovvero suoni) la cui produzione è impossibile per altre specie di primati (in queste infatti la laringe forma, col tratto orale, un angolo ottuso). La fonetica umana sfrutta poi una serie di strutture anatomiche e di organi (i polmoni, la glottide, la lingua, le labbra, ...) per produrre i diversi i tipi di foni attestati nelle lingue del mondo.
Vi sono però anche dei presupposti uditivi e cerebrali. In particolare lo sviluppo di alcune aree del cervello permette agli uomini di produrre sequenze dotate di significato e di recepirle per (eventualmente) comprenderle.
Questi sono dati di fatto riconosciuti sia dai linguisti sia dai biologi. C'è tuttavia una questione di fondamentale importanza che divide il mondo scientifico. Come si è sviluppato il linguaggio nell'uomo, e come mai solo l'uomo ha sviluppato una struttura così complessa ?

LA DIATRIBA: GRADUALISTI VS. DISCONTINUISTI
L'ipotesi che potrebbe essere formulata in termini strettamente darwiniani è che il linguaggio dell'uomo si sia sviluppato a partire dai suoni prodotti dai primati. Se possiamo ammettere, dunque, che agli albori della specie umana l'uomo producesse delle sequenze simili a quelle degli altri primati, dovremmo spiegare come mai, ad un certo punto della sua storia evolutiva, l'uomo abbia intrapreso un cammino differente, che lo avrebbe condotto alla capacità unica di produrre linguaggio. L'ipotesi cosiddetta gradualista prevede che tale tappa sia stata raggiunta progressivamente e per una serie di tappe successive. La funzione primaria del linguaggio sarebbe stata quella comunicativa, e solo in un secondo momento esso avrebbe raggiunto quel livello di astrattezza e complessità con cui ci confrontiamo oggi. Ma questa ipotesi è stata rifiutata da più parti.
Linguisti e biologi (possiamo citare sicuramente tra i linguisti Noam Chomsky, caposcuola della grammatica generativa, e François Jacob tra i biologi) ritengono che sia molto arduo spiegare il linguaggio umano in termini di evoluzione graduale rispetto ai suoni prodotti dalla scimmie e che
Il linguaggio [umano] non condivide con essi [intendi: i richiami dei primati] alcuna proprietà interessante. (G. Graffi, Che cos'è la grammatica generativa, Carocci Editore, Roma 2015, p. 43)
Chomsky e Jacob sono più propensi a considerare che non vi sia stata una gradualità, ma piuttosto un vero e proprio balzo e che il linguaggio umano si sia sviluppato primariamente come strumento del pensiero, e solo in un secondo momento sia stato adattato a finalità comunicative. A un certo punto cioè, il cervello dell'uomo si sarebbe riorganizzato e ciò avrebbe permesso, insieme agli organi articolatori, la produzione del linguaggio.
In termini evolutivi, la comparsa "improvvisa" e non graduale di un carattere in una specie è poco conciliabile con la concezione di Darwin il quale, riprendendo Carlo Linneo, era convinto che natura non facit saltus. Tuttavia le ricerche successive alla morte di Darwin hanno messo in luce come piccole variazioni del codice genetico possano verificarsi in maniera per così dire repentina producendo, come effetto, differenziazioni anche notevoli tra una specie all'altra.

LA GRADUALITÀ DELL'EVOLUZIONE E LA SINTASSI
Una delle proprietà che distingue nettamente il linguaggio dalla comunicazione degli altri animali è la sintassi, cioè il fatto che le lingue del mondo si organizzino attorno all'ordine delle parole e che tale ordine abbia un ruolo primario. Nessuna altra specie animale è in grado di sfruttare la sintassi. Una delle caratteristiche salienti della sintassi è la sua ricorsività. Essa consiste a) nella capacità di formare enunciati che, per mezzo di "incastri", sono potenzialmente di lunghezza infinita

Federico conosce Sara.
Federico, che è amico di Marco, il quale è cugino di Filippo, che è il capitano della squadra di calcio della città, ... , conosce Sara.

e b) nella possibilità, legata alla capacità sopra descritta, di collegare due enunciati indipendenti in un'unica struttura secondo rapporti di causalità, contemporaneità, o anche solo coordinazione o relazione:

Gianni mangia.
Gianni guarda la tv.
Gianni mangia mentre guarda la tv.

Essendo la sintassi in grado di produrre strutture virtualmente infinite, non è possibile immaginare che la capacità sintattica sia stata raggiunta in maniera graduale, dacché l'infinito non può essere ottenuto tramite l'aggiunta progressiva di unità. Non possiamo cioè immaginare che, ad un certo punto della storia evolutiva, l'uomo "abbia avuto più sintassi" di quanta ne avesse prima (la sintassi è presente o è assente); questo discorso può essere invece fatto per altri organi e proprietà, come l'occhio e la vista (cfr. R. Dawkins, L'orologiaio cieco, Mondadori, Milano 2018).

Sebbene le considerazioni presentate non possano permetterci di sbilanciarci in maniera sicura né da una parte né dall'altra, dobbiamo comunque considerare che il gradualismo darwiniano sia poco conciliabile con le peculiarità che il linguaggio mette in luce. Ciò non significa negare che elementi di natura evolutiva e sviluppatisi in maniera graduale (come gli organi di respiro e di fonazione) abbiano avuto un loro ruolo nella comparsa del linguaggio, ma semplicemente accettare che è del tutto plausibile che una piccola variazione improvvisa abbia potuto essere alla base della comparsa del linguaggio nell'essere umano.

Fonti:
R. Dawkins, L'orologiaio cieco, Mondadori, Milano 2018.
G. Graffi, Che cos'è la grammatica generativa, Carocci Editore, Roma 2015.
A. Moro, I confini di Babele. Il cervello e il mistero delle lingue impossibili, Il Mulino, Bologna 2015.

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